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I reduci di Dona una favola, orbati del loro gingillo, si ritrovano in questo spazio libero ed indipendente

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    Quinto capitolo

    Naplesland
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    Quinto capitolo Empty Quinto capitolo

    Messaggio  Naplesland Sab Mag 12, 2012 12:45 pm

    PRIMO CAPITOLO
    Il vento spazzava la valle. Che fatica alzarsi di buon'ora per andare a lavorare i campi. E poi per che cosa? Per portare ricchezza al tiranno che viveva nel castello e pretendeva tutti i proventi del nostro lavoro per arricchirsi lasciando ai sudditi solo il minimo per sopravvivere e, a volte, nemmeno quello...

    Sebastiano, rimpiangendo di esser nato servo, si fece forza e uscì spalancando l'uscio. Il cappello, mal calcato per la fretta, gli volò subito via e l'uscio cominciò a sbattere per il forte vento. Cercando di seguire con lo sguardo dove se ne stava finendo il berretto fece per richiudere la porta, ma nel voltarsi calpestò il pettine del rastrello che gli si stampò in faccia con violenza. Si portò le mani al naso e l'uscio gli sbattè contro, facendogli perdere l'equilibrio. Cadde imprecando sui sassi, sbucciandosi ginocchia e mani.
    Fu proprio in quel momento che, acceccato dal dolore ma non sordo, udì una carrozza fermarsi davanti alla sua umile dimora....

    CAPITOLO CAMEO DI NAPLES
    Da quella carrozza scese un personaggio squallido, i tratti del viso tirati davano un senso di terrore al ghigno che fece nel guardare Sebastiano, mentre apriva la pergamena che decretava la sua condanna. Due tirapiedi, neri e grifagni afferrarono per le braccia quella povera figura. “Tu sei Sebastiano da Theakston?”. Un “sì” tremante uscì dalla bocca dell’uomo. “Siamo venuti a riscuotere il balzello sui tuoi raccolti…”. “Ma… quali raccolti? Il campo è bruciato una settimana fa…”. “Allora, per decreto di Sua Signoria Rodolfo, Unico Signore incontrastato di questa valle, la tua casa servirà ad onorare il tuo debito”, replicò quella squallida figura, “… e tu marcirai in galera!” soggiunse. “Maledetti! Maledetti! Siete stati voi a bruciarmi il campo! Maledetti!”. Sebastiano fece per avventarsi contro quell’esattore, ma i crucchi lo fermarono scagliandolo contro il muro e tramortendolo all’istante. “Portate via questo sacco di letame” fece sprezzante ai suoi tirapiedi quell’orribile uomo, mentre tutti salivano sulla carrozza, e tutti osservavano atterriti da dietro le finestre ben chiuse. Una freccia, però, colpì in pieno petto il primo crucco, che crollò stecchito al suolo con un gemito soffocato. “Ma che dia…” non finì la frase il secondo che la sua gola fu recisa da un secco colpo di pugnale. L’esattore si affacciò dalla carrozza, ma fu subito scaraventato per terra dall’arciere e dal secondo assalitore, entrambi a volto coperto. Fece per difendersi, quella squallida figura, ma la furia omicida imperversò anche su di lui, con un’unica coltellata al cuore che lo uccise sul colpo. “Portiamo via la carrozza ed i cadaveri!” soggiunse l’arciere. “E tu vattene!” urlò l’altro a Sebastiano. “sei libero, ma ritorneranno!”. L’omino, paralizzato dal terrore, fece “sì” col capo, mentre la carrozza si allontanava, e la gente usciva dalle case guardandola andar via, incerta tra la speranza di un’insurrezione e la paura della reazione che ci sarebbe stata.
    SECONDO CAPITOLO
    Sebastiano, ancora stordito, guardò prima la carrozza allontanarsi e poi la casa che avrebbe dovuto abbandonare. Da qualunque parte si voltava vedeva solo problemi, problemi irrisolvibili. Tremando decise di andare dall'unica persona al villaggio di cui si fidava.
    -Rosettaaa! Ci sei? - la chiamò da sotto la finestra. Gli risposero un paio di oche, che gli andarono incontro minacciose cercando di allontanare l'intruso dal cortiletto. Il villaggio era famoso per le oche di rara bellezza che ci vivevano; per questo, dalla notte dei tempi, tutti lo chiamavano Gooselander.
    Il ragazzo stava per andarsene via deluso quando la vide arrivare con il cesto della spesa. Gli si illuminarono subito gli occhi, a Rosetta voleva bene come a una sorella. Erano cresciuti insieme da quando lui, a 6 anni, aveva perso entrambi i genitori.
    - Sebastiano, che fai in giro, devi scappare! - Gli disse subito Rosetta, che ne veniva dal mercato e aveva sentito di tutto quello che gli era accaduto.
    - Ma dove posso andare... non ho un posto dove rifugiarmi...- Sperava di sentirsi offrire subito riparo e ospitalità ma lei invece gli sussurrò:
    - Oh povero amico mio, vai a rifugiarti nel bosco ma stai attento a non camminare sul sentiero! Vedrai che qualcuno si farà vivo e ti aiuterà, ci sono tanti nostri compaesani che si nascondono lì - . Poi si tolse svelta il grembiule e lo riempì a mo' di sacco con tutto quello che aveva nel cestino: - Prendi, qui hai da mangiare per almeno due giorni, ti basterà. Vai, presto, e tienti nascosto! -
    Dopo averla ringraziata malamente per via della delusione che gli stringeva la gola, Sebastiano legò il fagotto a un bastone e, tenendolo tristemente in spalla, si avviò guardingo verso il bosco, senza mai voltarsi indietro. Mano mano che gli alberi si infittivano, la luce del sole veniva meno e il povero ragazzo cominciava a spaventarsi ad ogni fruscio di foglia tanto che, per guardarsi indietro all'ennesimo rumore, inciampò in una radice e cadde. Quando fece per rialzarsi un uomo, sbucato dal nulla e dalle spalle larghe il doppio delle sue, gli sbarrava il passo.
    Fiducioso che fosse uno dei compaesani che si nascondevano nel bosco, pronti ad aiutarlo come gli aveva spiegato Rosetta, Sebastiano gli rivelò subito il suo nome e gli chiese aiuto per nascondersi dal tiranno. Lo sconosciuto gli rispose tranquillizzandolo con un: - Ceeeeeeeeerto, seguimi - e, prendendolo rudemente per un braccio, lo condusse in direzione opposta a quella del bosco. Il giovane, sentendosi finalmente in salvo lo seguì senza far storie. Raggiunta una piccola radura vide, nascosto dietro un'enorme quercia, un carro trainato da due bei cavalli neri con due uomini armati seduti in cassetta. Il suo nuovo amico lo fece salire sul retro e Sebastiano ne fu veramente felice, cominciava ad essere stanco di tutto quel camminare e le scarpe, già bucate, si erano rotte anche in punta. Grande però fu il suo stupore quando, partiti i cavalli al galoppo, quello che credeva suo compaesano improvvisamente gli legò i polsi saldamente al carro. Lo stupore si tramutò velocemente in disperazione quando capì che il carro si stava dirigendo di gran carriera verso... il castello!

    TERZO CAPITOLO

    Rinchiuso in uno stanzone freddo e buio del castello, in attesa che il tiranno tornasse da un viaggio e decidesse cosa fare di lui, Sebastiano non faceva altro che darsi dello stupido per essersi fidato del primo che aveva incontrato nel bosco. Ad un certo punto, però, i suoi lamenti furono interrotti da un guaire ripetuto, che proveniva da una catasta di legna e da alcuni sacchi di patate ammucchiati in un angolo. Incuriosito si avvicinò. Con le mani ancora legate gli era difficile spostare i legni e aveva paura che lo potessero accusare di aver rubato qualcosa se lo avessero sorpreso a frugare lì in mezzo, ma poiché i guaiti continuavano spostò una trave e si accorse con stupore che uno dei sacchi si muoveva. Slegò a fatica i lacci che lo chiudevano e dall’apertura sbucò subito il muso di un cane che prese a leccargli la faccia. – Fermo, fermo. Non mi ringraziare, non sei fuori dai guai! – disse intanto che il cane balzava fuori scodinzolando a più non posso. - Ma chi mai può essere stato così cattivo da imprigionarti in questo modo? – si chiese mentre faceva per annodare di nuovo i lacci . Il cane lo fermò
    morsicandolo piano alle mani e insinuò il muso nel sacco mugulando. - Che c’è? Che hai? Vuoi forse tornare dentro? - Diede un’occhiata, in fondo c’era ancora qualcosa … - Ma Santa Maria! – esclamò stupito Sebastiano – c’è un cucciolo qui dentro! E’ il tuo? - Lo tirò fuori, non si muoveva e sembrava ormai senza vita. Lo posò delicatamente a terra e la cagnetta cercò di rianimarlo leccandolo per benino. Il cucciolo si riprese quasi subito e, ancora ad occhi chiusi, cercò di ciucciare un po’ di latte.
    Bel guaio, bel guaio! – si disperò Sebastiano – Mi faranno pagare anche questa!
    La cagnetta, un bellissimo cane da caccia dal manto pezzato, lo guardò come se capisse quello che diceva e prese a mordergli le corde che gli stringevano i polsi. In poco tempo fu libero.
    _ Eh… e adesso cosa ti credi di aver fatto? Di qui non si esce!! – fece il ragazzo, massaggiandosi i polsi. Ma la cagnetta dallo sguardo dolce e intelligentissimo andò verso la legna e abbaiò piano.
    -Che c’è? Secondo te mi posso nascondere sotto la legna? – la rimbrottò Sebastiano, che proprio piccolo non era. Si avvicinò però al punto della catasta verso cui il segugio puntava con così tanta decisione e, guardando con attenzione sotto tutta la legna, intravvide una botola. Esitò un attimo poi si fece spazio spostando alcune travi e provò ad aprirla. Soltanto un legno faceva da serratura e in poco tempo il ragazzo riuscì a spalancarla. Dalla botola si arrivava ai bordi del fossato pieno d’acqua che correva tutto intorno al castello.
    La paura lo bloccò all’istante, in paese si diceva che in quelle acque vivevano draghi ferocissimi che divoravano tutto quello che ci cadeva dentro.
    La cagnetta intanto aveva preso delicatamente in bocca il cucciolo e lo aveva spostato vicino al bordo dell’apertura sperando che il ragazzo si decidesse a scendere. Sapeva che senza il suo aiuto non sarebbe riuscita a portare in salvo il suo piccolo .
    In quel momento Sebastiano sentì dei rumori e capì che se non si fosse sbrigato, presto le cose per lui sarebbero andate a finir male, molto male. Nessuno tornava vivo dalle prigioni del castello. Un altro rumore, dei passi. Sebastiano decise di rischiare. Prese il cucciolo e se lo infilò al petto, dentro la blusa di lana. Poi si calò dalla botola, sprofondando fin quasi alle ginocchia nell’acqua gelida. La cagnetta lo imitò all’istante.

    QUARTO CAPITOLO.

    Approfittando del buio avevano proseguito la loro fuga per tutta la notte, addentrandosi prima nell'erba alta e poi nel bosco. Si erano fermati solo un paio di volte per permettere al cucciolo di ciucciare un po' di latte dalla sua mamma e avevano superato almeno un paio di colline. La cagnetta sembrava saper dove andare e Sebastiano la seguiva senza far storie. Era stanco, aveva freddo, fame e voleva allontanarsi il più possibile dal castello del tiranno. Era quasi l'alba quando improvvisamente gli alberi fitti del bosco rivelarono una siepe altissima nascosta tra i rovi.Senza esitazione la cagnetta ci si infilò in mezzo, svelando uno stretto passaggio che anche Sebastiano riuscì ad attraversare senza ferirsi. Oltre la siepe, gli alberi cominciarono a diradarsi mostrando, in fondo alla valle, un piccolo paese ancora addormentato. Sebastiano era sorpreso, perchè più si avvicinava e più il paese gli sembrava familiare. Ad un certo punto la cagnetta prese a correre e si diresse verso un maniero molto grande e cintato, mettendosi nel frattempo ad abbaiare. Sebastiano provò a chiamarla, a zittirla, ma lei non smetteva. Corse a nascondersi dietro a un albero ma il tronco gli sembrò troppo sottile, così si accucciò svelto dietro a un sasso.
    Come temeva, il rumore svegliò tutti nel maniero e in un attimo vennero accesi lumi dappertutto. Mentre una guardia apriva il cancello per uscire a controllare, la cagnetta si precipitò dentro al giardino andando subito a grattare con foga contro la porta del palazzo. Subito l'uscio si spalancò e una ragazza dai lunghi capelli biondi sciolti sulle spalle si inginocchiò per abbracciarla mentre diceva:
    -Padre, venite presto! E' tornata Leonilla!!! -
    La cagnetta non sapeva più come fare le feste a tutti e due ma quando fecero per chiudere la porta accogliendola in casa, lei sgusciò fuori e, abbaiando a più non posso, raggiunse Sebastiano.
    - Shhhhh... zitta, ti prego non farmi scoprire! Mi restituiranno al tiranno! -
    Ma ormai la guardia li aveva raggiunti e gli stava facendo segno di alzarsi.
    - Lasciatemi andare, non ho fatto nulla - e tirò fuori il cucciolo pensando che la cagnolina abbaiasse per riavere il suo piccolo.
    - Papà..... c'è anche Lino! - disse felice la ragazza, appena lo vide.
    Leonilla prese delicatamente in bocca il suo piccolo e lo portò orgogliosa e scodinzolante alla sua padroncina.
    - Siete tornati, miei adorati - ripeteva commossa la ragazza accarezzandoli e sbaciucchiandoli. Intanto il padre, rivolgendosi a Sebastiano fece:
    - Prego, entra nella mia casa. Vorrei che tu mi raccontassi dove hai trovato i miei cani e chi sei tu.
    Sebastiano tenendo il capo chino lo seguì intimorito; entrarono in un salone grandissimo dove un camino enorme lavorava a tutta forza. Il nobile lo fece accomodare e chiamò subito un servo, ordinandogli di portare a tutti, compresa Leonilla, una ricca colazione. Riscaldato dal fuoco e rifocillato da tutto il ben di Dio che il servo continuava a portargli, Sebastiano trovò la forza di parlare e di raccontare la triste avventura che aveva unito il suo destino a quello di Leonilla. Dopo averlo ascoltato attentamente il nobile disse:
    - I miei cani son stati rapiti dagli uomini del Signorotto che regna sulla valle vicina alla mia. La nostra è una contesa che dura da quando mio nonno Re Rofradio morì per colpa di una tanto stranissima quanto improvvisa febbre e suo figlio Leone sparì dopo essere stato catturato dai briganti. Non essendoci altri eredi, il trono fu usurpato da un lontano cugino di mio nonno, Rodolfo il Gramo, che divenne il primo tiranno di Gooselander, proprio il paese da cui vieni tu. Ma - aggiunse sospirando tristemente - questa è una storia molto lunga e te la racconterò un'altra volta.-
    Si fermò un attimo a riflettere, poi continuò riconoscente: - Senza il tuo aiuto Leonilla e il suo piccolo non avrebbero mai potuto ritornare da noi e la mia unica figlia, Leonilde, non avrebbe mai più smesso di piangere la loro morte. In cambio di tutto quello che hai fatto per noi voglio aiutarti. Poichè mi hai detto di non aver più nessuno al mondo, ti regalerò una piccola casa e un po' di terra e potrai vivere degnamente e al sicuro nel mio regno per tutta la vita se vorrai.-
    Sebastiano sgranò gli occhi, una tal fortuna mai mai gli era capitata in vita sua!

    QUINTO CAPITOLO

    Due bellissimi giovani, luminosi come Sebastiano non li aveva mai visti, entrarono d'improvviso nella sala. "Padre" fecero vicino al nobile genuflettendosi in segno di saluto. "Penso che tu debba ringraziarli!" fece il nobile vicino l'omino. "Erano loro che ti hanno salvato l'altro giorno da una morte sicura!". Sebastiano strabuzzava gli occhi. Mai vista tanta fierezza nei loro volti. "Chi... chi siete?" balbettò loro. "Il mio nome è Vinicio da Waltham" fece il primo, i suoi intensi occhi azzurri fissarono maliziosamente l'omino, i suoi capelli biondi e ricci scendevano sulle spalle lungo il mantello di un azzurro intenso. Replicò il secondo "Mi chiamo Adriano da Danby", i suoi capelli neri circondavano un viso con i tratti marcati, gli occhi verdi avevano un'intensità che incuteva rispetto nel solo vederli. Sebastiano si gettò in ginocchi davanti a loro per ringraziarli. "Alzati, Sebastiano" fece il nobile. "Il popolo deve tornare ad inginocchiarsi solo di fronte a Dio, noi nobili dobbiamo restituirgli la dignità persa, perché il nostro futuro dipende dal popolo e dal volere di Dio." Si girò verso i due giovani:"Figli, la sofferenza nel volto di questo omino deve essere per voi l'ennesimo sprone a rovesciare il regime di quell'ignobile despota. Pagherà con il sangue i suoi crimini contro il popolo". Tacque, poi soggiunse:"Il tempo per l'attacco finale non è però giunto, dovremo ancora lottare per alimentare la speranza degli oppressi". "Padre" replicò Adriano "troppi lutti stanno intristendo Gooselander, quanto ci vorrà ancora per restituirle la serenità?". "La guerra non si misura con il tempo, ma con la determinazone ad un unico obiettivo: la vittoria finale!". "Gloria a Dio! Gloria al popolo! Gloria a Gooselander!" intonò Vinicio. "Sia eterna Gloria per l'eterno ed il popolo che Egli guida!" fu il coro dei presenti. "Preghiamo per il ritorno del sole!" concluse il nobile mentre apriva una porticina dalla quale apparve un ostensorio così luminoso che parve pieno giorno. Una brezza sfiorò il volto dei presenti trasmettendo a tutti la sensazione di udire lo stesso messaggio:"Pace a Voi!". Una lacrima rigò il viso del nobile. "Andate, Figli!" fu il suo sommesso sospiro. Scendendo le scale, Vinicio e Adriano incontrarono Leonilde. I suoi occhi marroni da cerbiatta impaurita, ma che nascondevano una determinazione da donna di età ben più elevata della sua, spiccavano nei bellissimi capelli neri lisci che arrivavano fino alla cinta. "I cavalli sono pronti!" disse loro con tono deciso. Una nuova missione, un nuovo attentato al regime del Tiranno li attendeva.
    Nel palazzo del Tiranno la rabbia per l'attentato all'esattore di Sebastiano montava in tutta la sua furia. Rodolfo il Gramo, uomo violento e prepotente per natura, si era incattivito proprio nell'ultimo anno per via della sifilide che lo faceva giorno per giorno sempre più impazzire. "Maledetto! Chi è stato, dimmi maledetto!" fece sbattendo contro il muro la guardia che gli aveva riferito dell'avvenimento. "Sire! Stiamo facendo del nostro meglio, ma brancoliamo nel buio..." fece sommesso il crucco. "Il buio ve lo darò io a voi, eterno!". "Vieni con me!" soggiunse e scesero entrambi una scala a chiocciola che li portò nei sotterranei del palazzo. "Apri quella porta!" gli intimò, era fatta di dura roccia, e fu un'impresa titanica per la guardia aprirla. Si aprì una stanza piena di oggetti d'oro di tutti i tipi. "Questo è il mio tesoro! L'ho accumulato per anni sottraendolo al popolo che lo avrebbe dilapidato nel vizio e nel gioco. Un paese forte si vede dalle sostanze che possiede ed io ne posseggo molte. Sono potente, perché sono ricco! Hai capito? La potenza è nulla senza la ricchezza!". "Sire! Il mio braccio per renderla più potente!" gli rispose la guardia. "Nessuno deve però sapere dove si trova questo tesoro" gli ghignò il tiranno. "Sarò muto come una tomba" rispose il crucco. "Allora bevi con me!" gli rispose Rodolfo all'uscita, porgendogli una coppa di vino. Bevvero entrambi, ma dopo pochi secondi la guardia cominciò a stramazzare al suolo in preda a soffocamento. "Adesso sono sicuro che resterai per sempre muto come una tomba!" mormorò il pazzoide, mentre la guardia rantolava l'ultimo respiro. Tirò una leva che aprì una botola che dava sul canale che circondava il castello e lì vi scaravento il cadavere del malcapitato. "Incapace!" ripeteva pensando alla guardia uccisa.
    Intanto, tra le due valli, due giovani ragazzi si baciavano teneramente ai piedi di una quercia. Leonilde guardava innamoratissima il suo principe azzurro, Ulderico, capitano dele guardie di Rodolfo. Il padre di lei non voleva, perciò si vedevano di nascosto da lui e dai fratelli. D'un tratto il volto di lei si corrucciò. "Non possiamo continuare a vederci di nascosto!". "Ho prestato giuramento, non posso tradire il mio signore" rispose Ulderico. "Tuo padre deve comprendere che la sua è una guerra inutile, solo Rodolfo può garantire pace nelle nostre terre, pur con qualche sacrificio a danno del popolo". "Me lo chiami sacrificio?" gli rispose sdegnata la giovine. "Il popolo non capisce che la ricchezza concentrata nelle mani di uno è garanzia di potenza. Guarda il nostro esercito. Tutti i paesi limitrofi ci rispettano!". "Ora devo andare!" soggiunse. "Ci vedremo domani nuovamente a quest'ora!". "Ti aspetterò!" gli rispose sommessamente la ragazza.

      La data/ora di oggi è Ven Lug 05, 2024 11:27 am