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    RIEPILGO FAVOLE.2 serve..piu' a me che a voi...controllate che non abbia saltato nessuno

    katrina
    katrina


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    Reputazione : 8
    Data d'iscrizione : 29.06.11

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    Messaggio  katrina Lun Nov 28, 2011 6:53 pm

    RIEPILOGO.2 E LA SECONDA CARTA:



    l'eroe/gli eroi trova/no un amico che li aiuta e un falso amico che se li vuole in.chi.ap...(ehehe qua non ci censureranno troppo, spero!)all'inizio non sanno bene distinguere chi e' il buono dal fetente, ma poi...






    PER IL TITOLO DOVETE ASPETTARE DI SHAMIRA

    -Il vento spazzava la valle. Che fatica alzarsi di buon'ora per andare a lavorare i campi. E poi per che cosa? Per portare ricchezza al tiranno che viveva nel castello e pretendeva tutti i proventi del nostro lavoro per arricchirsi lasciando ai sudditi solo il minimo per sopravvivere e, a volte, nemmeno quello...
    Rachele guardava suo marito con amore ma anche con tanta pena….solo otto anni sposati, una valigia piena solo di speranze e tanti sogni oramai vuota. Quell’uomo, suo marito, era quasi irriconoscibile: rughe mai viste prima solcavano il suo viso inesorabilmente, gli occhi, un tempo allegri e ridenti, erano spenti e con una leggera ombra di malinconia e tristezza; le mani, le sue forti mani, quelle che l’avevano accarezzata dolcemente nel bellissimo momento della scoperta dell’amore, erano ruvide come carta vetra…purtroppo non erano arrivati bambini e Dio solo sa quanto l’avessero desiderato!!! Distolse lo sguardo angosciato dalla figura di suo marito e inconsciamente il suo sguardo si posò sullo specchio dove si rifletteva la sua figura! Non amava guardarsi allo specchio, non le piaceva ciò che vedeva e distolse lo sguardo nuovamente….




    XXXX


    GOOSELANDER DI YENDIS

    -Il vento spazzava la valle. Che fatica alzarsi di buon'ora per andare a lavorare i campi. E poi per che cosa? Per portare ricchezza al tiranno che viveva nel castello e pretendeva tutti i proventi del nostro lavoro per arricchirsi lasciando ai sudditi solo il minimo per sopravvivere e, a volte, nemmeno quello...

    Sebastiano, rimpiangendo di esser nato servo, si fece forza e uscì spalancando l'uscio. Il cappello, mal calcato per la fretta, gli volò subito via e l'uscio cominciò a sbattere per il forte vento. Cercando di seguire con lo sguardo dove se ne stava finendo il berretto fece per richiudere la porta, ma nel voltarsi calpestò il pettine del rastrello che gli si stampò in faccia con violenza. Si portò le mani al naso e l'uscio gli sbattè contro, facendogli perdere l'equilibrio. Cadde imprecando sui sassi, sbucciandosi ginocchia e mani.
    Fu proprio in quel momento che, acceccato dal dolore ma non sordo, udì una carrozza fermarsi davanti alla sua umile dimora....

    CAPITOLO 2 SEQUEL DI NAPLESLAND

    Da quella carrozza scese un personaggio squallido, i tratti del viso tirati che davano un senso di terrore al ghigno che fece nel guardare Sebastiano, mentre apriva la pergamena che decretava la condanna di Sebastiano. Due tirapiedi, neri e grifagni afferrarono per le braccia quella povera figura. “Tu sei Sebastiano da Acerenza?”. Un “sì” tremante uscì dalla bocca dell’uomo. “Siamo venuti a riscuotere il balzello sui tuoi raccolti…”. “Ma… quali raccolti? Il campo è bruciato una settimana fa…”. “Allora, per decreto di Sua Signoria Ildebrando, Unico Signore incontrastato di questa valle, la tua casa servirà ad onorare il tuo debito”, replicò quella squallida figura, “… e tu marcirai in galera!” soggiunse. “Maledetti! Maledetti! Siete stati voi a bruciarmi il campo! Maledetti!”. Sebastiano fece per avventarsi contro quell’esattore, ma i crucchi lo fermarono scagliandolo contro il muro e tramortendolo all’istante. “Portate via questo sacco di letame” fece sprezzante ai suoi tirapiedi quell’orribile uomo, mentre tutti salivano sulla carrozza, e tutti osservavano atterriti da dietro le finestre ben chiuse. Una freccia, però, colpì in pieno petto il primo crucco, che crollò stecchito al suolo in un gemito soffocato. “Ma che dia…” non finì la frase il secondo che la sua gola fu recisa da un secco colpo di pugnale. L’esattore si affacciò dalla carrozza, ma fu subito scaraventato per terra dall’arciere e dal secondo assalitore, entrambi a volto coperto. Fece per difendersi quella squallida figura, ma la furia omicida imperversò anche su di lui, ricevendo un’unica coltellata al cuore che lo uccise sul colpo. “Portiamo via la carrozza ed i cadaveri!” soggiunse l’arciere. “E tu vattene!” urlò l’altro a Sebastiano. “sei libero, ma ritorneranno!”. L’omino, paralizzato dal terrore, fece “sì” col capo, mentre la carrozza si allontanava, e la gente usciva dalle case guardandola andar via, incerta tra la speranza di un’insurrezione e la paura della reazione che ci sarebbe stata.




    XXXXX




    IL SEQUEL DI CETTI


    -Il vento spazzava la valle. Che fatica alzarsi di buon'ora per andare a lavorare i campi. E poi per che cosa? Per portare ricchezza al tiranno che viveva nel castello e pretendeva tutti i proventi del nostro lavoro per arricchirsi lasciando ai sudditi solo il minimo per sopravvivere e, a volte, nemmeno quello...
    A. continuava a fissare quelle righe scritte sullo schermo del PC come ipnotizzata! erano 2 settimane che le aveva scritte....era l'inzio della sceneggiatura che le avevano commissionato... il sequel di una serie TV che aveva avuto successo la stagione passata; l' autore aveva rinunciato a scrivere il seguito ed allora avevano chiamato lei !!! Proprio lei che, dopo aver letto l'unico fantasy della sua vita ,si era sempre rifiutata di considerare quel filone letteratura.
    Era sempre stato così nella sua vita! Si era sempre trovata a fare cose che non erano nelle sue corde.
    A cominciare dalla scuola : liceo scientifico perché l'artistico- come diceva suo padre - non garantiva un diploma valido; l'università
    -architettura - era quella che voleva frequentare ...peccato però che il vento sessantottino l'aveva portata fuori strada e si era
    ritrovata a scrivere sceneggiature per il cinema e la televisione,con la voglia di scrivere romanzi rimasta nel cassetto dei sogni!
    Intanto poi quando era già mamma una laurea l'aveva presa... in psicologia...tanto per non smentirsi...lei che gli altri non li aveva mai capiti.....soprattutto gli uomini!
    E ora doveva descrivere le caratteristiche di un tiranno....dunque vediamo un po'....a chi poteva ispirarsi … c'era solo l'imbarazzo della scelta : " il padre"...! vogliamo essere BANALi? Nooo?Allora il primo amore ? Quello per cui aveva lasciato tutto e che aveva seguito fino in capo al mondo?...ancora più banale ! Il padre dei suoi figli?....l'ultimo in ordine di tempo ma non in ordine di....simpatia?
    E sì....grazie all'abilità matematica acquisita in 5 anni di liceo...e agli studi superiori di psicologia era in grado di sommare l'esperienza di 3 uomini più 2 figli e tratteggiare così il TIRANNO PERFETTO!

    CAPITOLO 2 SEQUEL DI ROSY PRINCESS

    “ Dunque, cominciamo a delinearlo fisicamente…cosi’ sara’ piu’ facile odiarlo. Si’ , e’ alto piu’ o meno 1,70, come Carlo, di un’altezza media, di quelli che hanno bisogno di un “rialzino” per poterti guardare dall’alto in basso perche’ diversamente potresti scorgere da te la nullita’ nelle loro pupille. E poi ha pochi capelli, sottili, senza nerbo, come Michele, con un ciuffo unto che si appoggia sulla fronte. E la pelle, la pelle e’ butterata, con i segni di un’acne non solo giovanile, dovuta agli eccessi abituali ai banchetti di corte....e poi i denti... distanti...ingialliti....insomma , una vera schifezza d’uomo. Puah ! “
    Era molto soddisfatta del ritratto mentale del suo Tiranno, ora doveva solo assegnargli un nome…..ma si’… Corrado, come quel suo compagno di scuola del liceo che per cinque anni aveva tolto il suo numerino dal sacchetto della tombola quando giocavano ad estrarre i nomi per formare le coppie. Nessuno voleva fare coppia con lei…. Corrado….alto…magro…inutile.

    Si guardava le unghie, era ora di smettere, aveva passato i quaranta e non era piu’ una’adolescente inquieta. Poi ancora lo schermo. Adesso che aveva un tiranno, le mancava una storia.
    Forse era meglio uscire a comprarsi un panino, tutto questo lavoro le aveva fatto venire fame .




    XXXXX



    ISABELLA NOCI E CASTAGNE DI PRINCESS


    -Il vento spazzava la valle. Che fatica alzarsi di buon'ora per andare a
    lavorare i campi. E poi per che cosa? Per portare ricchezza al tiranno
    che viveva nel castello e pretendeva tutti i proventi del nostro lavoro
    per arricchirsi lasciando ai sudditi solo il minimo per sopravvivere e, a
    volte, nemmeno quello...
    -Spinse con forza le coperte, pesanti come gli anni a venire, si libero’ della veste da notte, nascose le sue forme sotto tre strati di lana e annodo’ il fazzoletto al collo. Usci’ dalla casa offrendo con sfrontatezza le gote al vento, batte’ forte i piedi per terra sollevando polvere e sogni, frego’ le mani ancora morbide e soffiando aria dalla bocca genero’ una piccola nuvola che prese a destreggiarsi nell’aria. Guardo’ avanti a se’: ancora avvolte dai bagliori dal mattino, come ogni giorno degli ultimi sedici anni, le torri.
    Non era mai riuscita a toccarle , troppo distanti, da lei, dai suoi boschi, dalla sua valle e dalla sua vita. Ma la loro vista l’aveva accompagnata nella crescita , mano nella mano , con il tempo che passava e le sue gambe che si allungavano . Le cime dei noci e dei castagni, nei primi anni, l’avevano protetta dalla consapevolezza di chi da sempre seminava terrore , senza rispettare uomini e stagioni. Ma avevano vinto loro, e avendo avuto riguardo solo per la sua infanzia, si ergevano ancora solide e fiere, incuranti degli sguardi del popolo
    Isabella decise che le avrebbe sfidate, ogni mattina, ad ogni risveglio, ignorandole nella giornata, voltando loro la schiena quando lavorava la terra , approfittando anche delle nebbie invernali che l’accoglievano al mattino sulla porta di casa, invitandola in una dimensione surreale dove lei fantasticava di principi e signori, di corti, di balli e di tavole imbandite permettendole anche di giocare a mosca cieca con le querce , di sorridere, di piangere, di urlare, di cantare, senza freni, senza remore, senza paure.
    - Isabella !!
    Sua madre la richiamo’ come faceva quando era ancora una bambina, perche’ per le madri il tempo non passa, i bambini non crescono, e la pelle non invecchia.






    XXXXX




    IL MONDO DI ALICE DI NADIA75



    -Il vento spazzava la valle. Che fatica alzarsi di buon'ora per andare a lavorare i campi. E poi per che cosa? Per portare ricchezza al tiranno che viveva nel castello e pretendeva tutti i proventi del nostro lavoro per arricchirsi lasciando ai sudditi solo il minimo per sopravvivere e, a volte, nemmeno quello...
    Nonostante sapeva che il Tiranno non avrebbe mai apprezzato il suo lavoro ogni mattina Alice si svegliava al sorgere del sole, prima di tutti gli altri coltivatori perche' era in quei pochi attimi che riusciva ad assaporare gli odori, i colori della campagna. In quei pochi momenti si sentiva la regina di quel regno in cui era nata e cresciuta: si soffermava ad osservare i fiori appena sbocciati e gli uccelli si venivano a posare fiduciosi sul palmo della sua mano. Passeggiando pensava alla sua vita e ai suoi compagni di lavoro...Rachele e suo marito, il loro volto segnato dalla fatica e dal sacrificio che la campagna provoca, Leonora la loro quasi figlia con i suoi sogni e desideri di scoprire la sua vera identita'e il suo misterioso passato, Sebastiano con quel viso simpatico, burlone tanto impacciato quanto sensibile, l'apparente presenza autoritaria di Isabella e Giovanni cosi' comprensibilmente scontroso e solitario. Alla fine erano una famiglia, strana ma ben amalgamata. Tutte le mattina si sedeva qualche minuto sotto un Ulivo secolare con una semplice vecchia chitarra scordata improvvisando una melodia. Quella mattina pero' mentre si avvicinava si accorse di non essere sola....


    CAPITOLO DUE SEQUEL DI KATRINA

    Qualcuno la osservava, ma non era una sensazione di pericolo e non si allarmò. Si sedette sotto all'ulivo e iniziò a strimpellare un dolce motivo, antico e triste, mentre scrutava con sguardo attento in mezzo alle frasche ingiallite, finche' li vide..due occhi attenti e spaventati, di un intenso color cielo, che la fissavano.
    "Chi sei,? Esci fuori, ti ho visto!"
    Con circospezione lui uscì. Un ragazzo più o meno della sua eta'. Alto, muscoloso ma magrissimo, con una zazzera di capelli biondi arruffati, sporco e stracciato.
    Alice pensò che fosse l'essere più bello che avesse mai visto, ed al contempo sentì una grande pietà per il suo stato.
    Stranamente entrambi sentivano di potersi fidare l'uno dell'altra.
    "Perdonami, non ti volevo spaventare. Mi chiamo Brendan. Sono uno schiavo, fuggito dalle miniere del Tiranno. Volevo solo trovare un pò di cibo e poi dirigermi al Nord, dalla mia gente, a Thirakitan.
    Alice conosceva la storia. Nelle lunghe sere invernali, durante le veglie intorno al fuoco, gli anziani raccontavano spesso dei Popoli del Nord, grandi alleati di re Rofradio, un'epoca di pace e prosperità. Poi il Tiranno aveva usurpato il trono, e dopo aver conquistato il Sud, aveva attaccato gli antichi alleati nella sua folle corsa al potere.
    I Popoli del Nord erano formidabili guerrieri , ma le armi del Tiranno, corruzione e tradimento, li avevano infine sconfitti.
    La vendetta fu atroce. Tutti i re e i nobili passati per le armi, la popolazione ridotta in schiavitù. Si narrava che una Resistenza si stesse organizzando, ma pochi ci credevano.
    Un' antica leggenda diceva che la pace perduta sarebbe tornata grazie alla Stella Polare...il Nord?
    Tuttavia fu piuttosto una percezione di fiducia, empatia e..chissa cosa, che fece rispondere Alice di impulso.
    "Non se ne parla neanche! In questo stato non faresti un miglio! Vieni, sei tra amici! Potrai riposarti e nutrirti al sicuro. Ripartirai appena sarai in forze. Io sono Alice...che strano il tuo nome!"
    "E' ironico, nella mia lingua vuol dire Principe..." .




    XXXXXX



    L'ORCHIDEA E IL LEONE DI KATRINA



    Il vento spazzava la valle. Che fatica alzarsi di buon'ora per andare a lavorare i campi. E poi per che cosa? Per portare ricchezza al tiranno che viveva nel castello e pretendeva tutti i proventi del nostro lavoro per arricchirsi lasciando ai sudditi solo il minimo per sopravvivere e, a volte, nemmeno quello...
    "Che senso ha tutto questo?" Leonora se lo chiedeva spesso, anche quella mattina, mentre la catinella dell'acqua le rimandava l'immagine del suo viso. Era cresciuta con Rachele, una vecchia resa burbera dal tempo e dal dolore, che affittava due camerette ai pochi viandanti di passaggio. Col tempo Leonora aveva imparato ad amarla, era la sua unica famiglia...almeno l'unica che conoscesse. Nei suoi occhi e nei suoi sogni, il bel volto di una donna bruna, giovane e spaventata...altro non riusciva a ricordare. Da piccolina fantasticava, diceva agli altri bambini che forse era la figlia illegittima di qualche nobile, che un giorno, pentito, sarebbe venuto a cercarla e lei avrebbe vissuto in una ricca dimora, ricordandosi e aiutando tutti gli amici...Ormai aveva smesso di sognare, la dura realta' l'aveva travolta. Ma sentiva nel suo cuore una forza, una volonta' di mai cedere, una speranza...Rachele diceva che nel suo nome stava il segreto..Leonora..un leone nell'esile corpo di una fanciulla. Ma qualcos'altro la sosteneva..l'unico ricordo tangibile di sua madre, da cui non si separava mai...


    CAPITOLO 2 SEQUEL DI NADIA 75
    suoi pensieri furono interrotti bruscamente da quanto stava succedendo nel cortile. Tentò di correre fuori ma Rachele e suo marito la bloccarono appena in tempo per evitare che diventasse il bersaglio inconsapevole di una freccia scagliata da un arciere a volto coperto e diretta mortalmente ad un crucco del Tiranno che cercava di fare del male a Sebastiano.
    Chi erano quegli uomini comparsi dal nulla, che si erano avventati senza timore contro le guardie del Tiranno? Sembravano estremamente sicuri di loro stessi, dovevano far parte di un esercito altamente qualificato. Leonora era riuscita solo ad intravedere un piccolo stemma raffigurante il profilo di un'orchidea ricamato sui mantelli...Le ricordava qualcosa che aveva gia' visto. Ma dove? Perchè era rimasta cosi' colpita da quel piccolo particolare?
    Improvvisamente si allontanò dalla finestra e salì velocemente le scale verso la sua stanza. "Dovi corri Leonora? La colazione è pronta, si fredderà se non scendi subito!..Leonora!?".Incurante del richiamo di Rachele, Leonora entro' in camera sua ed aprì un piccolo portagioie dove era custodito gelosamente l'unico ricordo lasciatole da sua madre: un piccolo ciondolo raffigurante su un verso una Madonna un rilievo e sull'altro...sì, proprio un profilo di orchidea esattamente identico a quello ricamato! Non poteva essere solo una coincidenza! pensò tra sè e sè Leonora stringendo sul suo petto il piccolo ciondolo...e con rinnovato entusiasmo e determinazione scese a fare colazione.






    XXXXXX




    L'ALBA DI DOMANI DI JTKIRK


    -Il vento spazzava la valle. Che fatica alzarsi di buon'ora per andare a lavorare i campi. E poi per che cosa? Per portare ricchezza al tiranno che viveva nel castello e pretendeva tutti i proventi del nostro lavoro per arricchirsi lasciando ai sudditi solo il minimo per sopravvivere e, a volte, nemmeno quello...
    Giovanni guardava i suoi strumenti di lavoro... Una falce, una vanga, una zappa ed il basto per i buoi con l'aratro. Pensò a come questi strumenti che trasformavano il lavoro dell'uomo in frutti, in ricchezza, benessere, potessero anche essere usati per distruggere ed uccidere.
    Rabbia, ora solo quel sentimento riusciva a scuoterlo.
    Non c'era più l'amore, non c'era più la compassione. Da quando la moglie ed il figlio erano stati uccisi dai soldati del tiranno, lui provava solo odio e rabbia



    CAPITOLO 2 DI JTKIRK

    CAPITOLO SECONDO
    Giovanni si diresse verso il campo da arare. Improvvisamente la sua attenzione fu catturata da uno strano luccichio proveniente dal terreno. Si avvicinò a quella che sembrava una sfera di metallo fumante.
    Impugnò la vanga e la sollevò sopra la sua testa. Lentamente si portò ad un passo da quello strano oggetto.
    Qualcosa si mosse dalla superficie della sfera. Quello che sembrava uno sportello, lentamente si sollevò.
    Una piccola figura grigia sollevò una esile mano dal portello.
    "Chi sei! Cosa ci fai nel mio campo!" gridò Giovanni brandendo la vanga
    "Aiutami..." una voce gli parlò direttamente nella testa. Spaventato Giovanni spalancò la bocca ma non uscì alcun suono.
    "Aiutami... Ti prego. Portami in un luogo sicuro. Per favore"
    Giovanni restò immobile. Per la prima volta dopo tanto tempo provò compassione. Raccolse la sfera con entrambe le mani e la caricò sul carretto. Poi prese la strada di casa, deciso a nascondere la sfera ed il suo piccolo passeggero nel capanno degli attrezzi.
    "Grazie" disse la vocina nella testa, "saprò ripagarti del tuo aiuto", "ci vorrebbe un miracolo piccolo amico..." disse Giovanni". "I miracoli avvengono, basta saperli creare" rispose la vocina.
    Mentre apriva la porta del capanno, sentì un rumore di passi sul selciato. Si voltò coprendo di fretta la sfera con il sacco di juta.
    "Ciao Giovanni!" gli fece Nicola, il suo vicino di podere, "come mai non sei ancora sui campi? Il sole é già abbastanza alto nel cielo". "nemmeno tu sei al lavoro..." rispose Giovanni. "che cosa porti nella rimessa?" continuò Nicola, "forse ti occorre aiuto?". "No non ti preoccupare. Torno subito al campo" e così dicendo spinse il carretto nella rimessa e richiuse bene la porta dirigendosi nuovamente al lavoro.
    "Grazie amico... " sussurrò la voce nella sua testa.




    XXXXX




    ADELE E LA LUNA SUL CAMINO DI CHIHIRO



    -Il vento spazzava la valle. Che fatica alzarsi di buon'ora per andare a lavorare i campi. E poi per che cosa? Per portare ricchezza al tiranno che viveva nel castello e pretendeva tutti i proventi del nostro lavoro per arricchirsi lasciando ai sudditi solo il minimo per sopravvivere e, a volte, nemmeno quello...
    Adele aveva dieci anni e alle nove del mattino era già rientrata dal forno del paese con due pagnotte belle calde di pane appena sfornato. Si era alzata che era ancora buio e dietro alla sorella più grande, Maria, era uscita di casa alle prime luci dell’alba, con i lampioni a gas ancora accesi e una striscia di cielo azzurro contro le montagne. Le due bambine si erano avvolte nei loro scialli intirizzite dal freddo e Adele ancora assonnata aveva camminato per un pezzetto con gli occhi chiusi, stringendo al petto il sacco di farina. Solo al forno, scaldate dal fuoco vivace della bocca di mattoni e dalle voci delle altre donne dalle gote rosse dal calore, si erano sentite al sicuro, con le guance che si incendiavano e le labbra che si screpolavano in un sorriso. Per tutto il viaggio di ritorno a casa avevano riso, una pagnotta calda contro il petto di ognuna e la luna spenta che le guardava rientrare rincuorata.


    CAPITOLO CAMEO DI YENDIS

    Rientrando in casa, però, si erano subito zittite. C'era uno strano silenzio, la mamma aveva gli occhi rossi e fissava, senza far nulla, il camino che si stava spegnendo; al piccolo Roberto nessuno badava. Il loro fratellino si stava succhiando un lembo della vestina, aveva il visetto tutto rosso e gli occhi stupiti e pieni di lacrime, certo aveva pianto parecchio. Adele si tolse il paltot e lo prese subito in braccio con dolcezza, cercando di consolarlo. Maria si era già messa a preparargli un po' di pane e latte, riattizzando intanto il fuoco. Entrambe guardavano di sottecchi la mamma, non osando chiederle nulla.

    Adele aveva appena finito di imboccare Robertino e stava raschiando per bene il fondo del piatto quando la loro mamma, come se le avesse viste solo in quel momento, si lasciò andare sulla panca e disse con la voce rotta: "Vostro padre è morto". Tacque per qualche secondo, come per prendere fiato e riprese: " Maria svelta vai a chiamare Fra Tomaso. Adele tu vai dal falegname e fallo venire qui. Io... io... Andate, su!"

    Adele guardò smarrita la sorella, erano giorni che il loro papà aveva la febbre alta, ma che succedesse una disgrazia così grande... mai mai l'avrebbe immaginato! Robertino, stanco per il gran pianto e con la pancia piena si stava già addormentando sulla sua spalla, lo posò delicatamente nella culla e lo coprì bene. Si rimise il paltot cullandolo sempre più piano ancora un pochino, ormai dormiva profondamente. La sorella la stava aspettando sull'uscio con la faccia triste, la raggiunse e insieme uscirono nella nebbia.





    XXXXX





    MESSER ALLOCCO, LA BELLA FIGLIUOLA E LA MELAMUSICA DI GUITARCLAUDIO



    -Ringriaziamenti
    Un doveroso omaggio alle minchiate che, indigene, popolano stabilmente il mio pensiero: senza di loro tutto questo non sarebbe mai stato scritto (e forse, dirà qualcuno dopo aver attentamente letto, sarebbe stato pure mejo).

    Narrando della favola di Messer Allocco…
    Come tutte le favole che si rispettino, comincerò a raccontare la mia storia – anzi, la nostra storia – con un bel “c’era una volta”. Eh si, perché i nostri eroi, le persone che ci faranno ridere e piangere e sognare e chissà quant’altro ancora, si muovono in un tempo tanto tanto lontano dalla nostra era. Si va bene, direte voi, ma “c’era una volta” dove?
    Immaginate… una valle.
    E già vi sento sbuffare di impazienza! Certo certo, lo so che non mi sono sforzato chissà poi quanto per tirar fuori una favola ambientata in una valle. La maggior parte delle favole, direte voi, si svolge su belle valli verde smeraldo, con graziose casette colorate e felici paesani che onorano le feste con banchetti colmi di leccornie. Ma la mia storia – anzi la nostra storia – no. La nostra è ambientata in una valle spazzata dal vento, incessantemente. Anzi, sapete che vi dico? Non comincerò nemmeno col canonico “c’era una volta”. Perché, si sa, un inizio diretto e drammatico rende sempre più avvincenti le storie, soprattutto se siete ben disposti all’ascolto, al calduccio di un bel caminetto a legna e con in mano qualcosa di buono da bere. Ah, siete astemi? E non siete affatto ben disposti?!? Allora mi toccherà essere ancora più interessante per catturare la vostra capricciosa attenzione. Il vento non è bastevole a rendere drammatica l’ambientazione? Sentite questa, via il “c’era una volta” e partiamo con: Il vento spazzava la valle. Che fatica alzarsi di buon'ora per andare a lavorare i campi. E poi per che cosa? Per portare ricchezza al tiranno che viveva nel castello e pretendeva tutti i proventi del nostro lavoro per arricchirsi lasciando ai sudditi solo il minimo per sopravvivere e, a volte, nemmeno quello...
    D’accordo, ho calcato un po’ troppo la mano, ma ormai ho deciso, il dado è tratto, e la nostra storia comincerà proprio così. Buon ascolto.

    La favola di messer Allocco, la Bella Figliuola e la MelaMusica
    Il vento spazzava la valle. Che fatica alzarsi di buon'ora per andare a lavorare i campi. E poi per che cosa? Per portare ricchezza al tiranno che viveva nel castello e pretendeva tutti i proventi del nostro lavoro per arricchirsi lasciando ai sudditi solo il minimo per sopravvivere e, a volte, nemmeno quello... Ma la persona della quale narreremo le gesta non era granché toccata da questo tristo contesto. Perché, vi chiederete voi? Semplicemente, il nostro uomo portava il suo fato scritto nel nome. Perché egli si chiamava Steve Allocc. E, si sa, il nome rivela quello che siamo, e poiché le parole “steve allocc”, in un oscuro dialetto di qualche amena regione bagnata dall’Adriatico, significa proprio “ero da un’altra parte”, il destino del nostro Steve, ignaro portatore di cotal bislacca coincidenza fonetica, era quello di perdersi il “qui ed ora” della sua vita. Non ci credete? Ebbene ascoltate: se c’era l’arcobaleno nel cielo, il più bello e vivido che si possa immaginare, lui era di sicuro al chiuso della sua cantina intento a riparare le assi del tetto, e se un’estate improvvisa riscaldava la valle nel bel mezzo del gelido inverno lui – potete giurarci – era nella settimana di corvee alle ghiacciaie reali a preparar sorbetti per i commensali e a morir di freddo. E se il duro frutto di lavoro, fatica, lacrime e sangue di messere Allocc veniva tributato al monarca in cambio di una miseria, poco importava: Steve sognava l’Amore Vero, che un giorno avrebbe reso la sua vita un Paradiso.

    Insomma, sembrava proprio che il destino di Steve fosse quello di essere sempre altrove. Tranne quella volta. Perché, sapete, delle volte la sorte gioca sadicamente a carte con noi e si diverte a servirci una mano fortunata, dando però all’avversario carte ancor migliori, per poi sbellicarsi guardando la scena che ne seguirà.
    Ah, se quella volta Steve avesse onorato il suo nome e fosse stato da un’altra parte, mentre la bellissima madame Stafija passava per strada dentro la sua carrozza! Se l’avesse colpito un fulmine, di certo avrebbe avuto conseguenze meno nefaste di quel mezzo sguardo rubato tra i pizzi ed i merletti che nascondevano il volto dell’affascinante straniera dalle esotiche origini. Inutile dirlo, egli se ne invaghì follemente sin da subito, sfatto come una pera stracotta. E d’altrocanto, non siate lesti a biasimarlo: se voi aveste incrociato il verde sguardo ammaliatrice di Stafija, vi assicuro che vi sarebbe toccata la stessa identica sorte del buon Steve.

    Ma chi era costei? Il padre della ragazza, messier Jacques DeBonne, era un facoltoso commerciante francese di spezie che si era perdutamente infatuato, in uno dei suoi viaggi di lavoro, della bellissima cortigiana veneta Laura Adonna. Dall’unione era nata Stafija, che aveva ereditato dai genitori non solo le loro qualità ma anche ambedue i cognomi.
    E così, in quel giorno di sole, Steve alzò lo sguardo al suono degli zoccoli di un imponente tiro a quattro e si perse negli occhi acquosi di Stafija DeBonne Adonna. E da quel momento, non ci fu verso di levargli quell’apparizione dalla testa. Se incontravi Fija potevi star certo che nei paraggi ci fosse Steve, acquattato a spiare le sinuose movenze della donna, la cui capigliatura biondo miele pareva attirare tutta la luce su di se.
    Per conto suo Stafija DeBonne Adonna, acuta osservatrice, aveva sin da subito intuito il sentire di messere Allocc, e da perfida volpe qual’era, si divertiva a provocare Steve con movenze ed ammiccamenti, per poi lasciarlo di sasso con la sua glaciale indifferenza. Immaginate voi quale scompiglio portava questo giochino della gatta col topo nella vita del nostro messere. Come quel giorno in cui Fija, certa di avere lo sguardo del suo spasimante su di se, con movenza provocante si sistemò appena il vestito attorno al seno. Il cervello di Steve, privato del sangue che rapido effluiva verso zone molto meno nobili, lasciò il nostro messere privo di sensi, con la rovinosa conseguenza di far cadere l’Allocc dall’albero su cui si era arrampicato per ammirare il bel panorama, irrompendo così in mezzo a due morosi che, su una morbida tovaglia di cotone stesa sull’erba, erano intenti a scambiarsi tenere effusioni.
    “Ho visto Stafija…” vaneggiava Steve.
    “Hai visto sto scemo!” imprecava invece il ragazzo mentre lo prendeva a schiaffi per rianimarlo, assai seccato del contrattempo.

    Il nostro buon messere passava quindi le giornate in uno stato di semi-stordimento provocato dal suo profondo invaghimento per Stafija, e più di ogni altra cosa bramava di incontrarla e di parlarle, anche se in cuor suo sapeva che non ne avrebbe mai avuto l’ardire.
    L’unica cosa che pareva risvegliare Steve e riportarlo alla realtà, era – manco a dirlo – un’altra ragazza. Era la cuoca della taverna dove messer Allocc usava rifocillarsi, una ragazzotta ricciolina e bruna, appetitosa, che profumava di selvatico e di erbe aromatiche in maniera talmente intensa da far girare la testa persino in mezzo ad una mezza dozzina di piatti fumanti di zuppa d’aglio e cipolla. Insomma, Rosemary Thyme era proprio una donna da mangiare.
    Tutte le volte che Steve la incrociava, riusciva (senza capirne però la ragione) a provare sollievo dal suo tormento d’amore per la bella Fija. Peccato che tutto si esaurisse nel tempo che Rosemary impiegava per posare il piatto del giorno sul tavolo ed a sparire lesta lesta come una gatta, nel retrobottega a cucinare. E lui restava lì, a fissare il piatto fumante, mentre a poco a poco l’immagine di Stafija DeBonne Adonna tornava a straziare il suo animo ed a levargli ogni traccia di appetito. Tanto che, dal giorno del fatale incontro, il buon messere pareva essere diventato un fantasma a furia di saltare pranzi e cene, e Rosemary che ogni giorno posava il desinare sul suo desco lì alla taverna si crucciava nello sparecchiare quello stesso piatto pieno, lasciato lì. Ecco. Quel piatto servito e non consumato era per la giovane cuoca un’offesa più che se l’avessero malamente apostrofata.
    “Nessuno lascia intonsi i manicaretti cucinati da Rosemary Thyme!” pensava furiosa tra se e se la ragazza.

    Mi pare di sentirvi mentre protestate, voi che ascoltate questa storia. Ci avevi promesso una favola originale ed avvincente, ed invece salta fuori la solita solfa dell’allocco che si innamora della femme fatale, che poi viene salvato, proprio mentre la bella e crudele signora sta per fargli il cuore a fettine per mangiarselo a mo’ di sushi, dalla brava ragazza della porta accanto.
    Certo, lo ammetto, fino ad ora non ho brillato per originalità, ma aspettate che vi narri … della MelaMusica!


    CAPITOLO 2 SEQUEL DI CHIHIRO
    Portate solo ancora un po’ di pazienza. Il tempo di immergerci per qualche istante tra l’odore di cipolle e carne affumicata della taverna ‘Lo scarpone ripieno’.
    La nostra cuoca Rosemary non si dava pace per quel messere che ogni dì le recava l’affronto di un rifiuto. Le era capitato di essere rifiutata al ballo, a scuola, persino alla gara di tiro alla fune, ma mai, mai nella vita, le era capitato che qualcuno rifiutasse la sua zuppa fumante. Questo stava rimuginando tra sé e sé aprendo la porta del retro e porgendo il piatto pieno al mendicante che si presentava puntuale a elemosinare ciò che un altro avea scartato.
    “Grazie Madama” gracchiò il vecchio mendicante.
    “Non ringrazi me, ma messer Allocc che prova gusto ogni dì a pagare per scaldare una sedia alla taverna.”
    “Come come? E’ a lui che debbo tanta abbondanza? E’ dunque lui l’inappetente innamorato? Perché può star certa che di amore si tratta.”
    “E tu che ne sai?”
    “Prima di permettere agli avanzi di cibare il mio corpo, li onoro chiedendo loro di cibare il mio spirito, leggendo in essi la storia di chi non li ha voluti.”
    “Ma tu guarda cosa mi tocca sentire! E cosa direbbero questi avanzi?”
    “Si struggono all’idea di essere stati indesiderati da una mente che vagava. Da un corpo che non c’era. Da un cuore innamorato che, pur seguendo il suo padrone, è rimasto a contemplare ciò a cui il padrone anela.”
    Le gote di Rosemary si fecero ancora più paffute prima di ballonzolare al ritmo di una fragorosa risata.
    “Senti un po’…” disse sedendosi sul marciapiede accanto al mendicante intento a divorare il pasto “..come ti chiami tu?”
    “Una volta tutti mi chiamavano Messer Accat. Ma ora può chiamarmi con il mio nome di battesimo, Toney.”
    “Senti un po’ Accat Toney, com’è che sai tutte queste cose?”
    Il nostro mendicante non rispose subito. Alzò lo sguardo solo dopo aver ripulito per bene la ciotola e si voltò lentamente verso la strada che portava in piazza. Giusto in tempo per vedere uno sconsolato Steve camminare stancamente prima di essere evitato per un pelo da una carrozza trainata da due cavalli.
    La cicatrice sulla guancia destra di Toney si alzò quasi impercettibilmente, sospinta dalle labbra increspate in un sorriso.
    “Toney! Ehi Toney!” insistette la cuoca curiosa “..cos’altro hai da dirmi su quell’uomo?”
    Finalmente lo sguardo del mendicante si posò sugli occhi rotondi di Rosemary e solo allora rispose..”hai mai sentito parlare della MelaMusica?”


    XXXXX




    LAUDATE DOMINUM DI NAPLESLAND




    -Il vento spazzava la valle. Che fatica alzarsi di buon'ora per andare a lavorare i campi. E poi per che cosa? Per portare ricchezza al tiranno che viveva nel castello e pretendeva tutti i proventi del nostro lavoro per arricchirsi lasciando ai sudditi solo il minimo per sopravvivere e, a volte, nemmeno quello... Ma non sarebbe stato un giorno come gli altri, qualche ora prima si preparava la strada a nuovi guerrieri. “Laudate Dominum omnes gentes, Laudate eum, omnes populi, Quoniam confirmata est Super nos misericordia eius” intonava il coro nell’abbazia di Sant’Ethelreda nel piccolo villaggio di Ely, in Cambridgeshire, mentre il sacerdote celebrava la nomina del giovane William a Confratello dell’Orchidea. Era notte fonda, i cavalieri presenti erano ben svegli e lieti di assistere a quella festa. Tra questi, Sir Alec Wittington guardava con orgoglio il suo pupillo ricevere un piccolo vaso con dentro un’orchidea. “Come essa viene da lontano, vai così lontano anche tu a distruggere i suoi nemici” concluse il vecchio ministro, mentre il nostro si alzava e, giratosi verso l’assemblea, ripeteva “Lux pro nobis, lux aliis”, ben presto imitato dai presenti. Alzò quindi l’orchidea al cielo urlando “Sempre in nomen tuum, Dominus” in un tripudio generale. Si avvicinò quindi il buon Alec. “È l’ora” gli disse. “Sì, mio Maestro” gli rispose il giovane, e lentamente guadagnarono l’uscita dal tempio, accompagnati dal canto “Gloria Patri” intonato dai fedeli. I due si guardarono negli occhi mentre salivano sui propri destrieri. Era ancora scuro, scuro come i loro cavalli, scuro come i loro vestiti, e nello scuro rapidamente si dileguarono. Gli intensi occhi azzurri di William guardavano con fervida ammirazione il Maestro che lo accompagnava, era la notte che preludeva la sua prima missione.

      La data/ora di oggi è Sab Nov 23, 2024 1:04 am